Per la rassegna LA SCRITTURA CURA, ecco il racconto della nostra socia Manuela Fiorini, dedicato a tutti coloro ai quali “Tengono più gli occhi della pancia”.

ALL YOU CAN EAT (MANGIA CIO’ CHE VUOI)

di Manuela Fiorini

Fjodor Lancellotti era un uomo ricco, di una ricchezza in parte ereditata dal padre, titolare di una ditta di import-export, in parte accresciuta grazie all’abilità negli affari e alla sua avarizia, divenuta proverbiale tra quanti lo conoscevano. In realtà Fjodor non aveva molti amici e le sue conoscenze erano limitate ai rapporti di lavoro, indispensabili per continuare a mandare avanti il suo giro di affari. L’empatia e la cordialità non rientravano nelle virtù dell’imprenditore, che non si era mai sposato, né aveva avuto figli e aveva ridotte relazioni coi famigliari. Aveva un fratello che viveva all’estero e un cugino che gli telefonava per Natale e per il suo compleanno, ma solo per ricordargli della sua esistenza, sperando un domani, in un lascito. Speranza vana, dal momento che Fjodor, che doveva il suo nome a un nonno di origini russe, nei suoi sessant’anni di vita non aveva mai regalato nulla a nessuno, nemmeno a sé stesso. L’unica sua debolezza, certificata dalla stazza, era la passione per il cibo. Non si concedeva cene gourmet o pranzi nei ristoranti di chef stellati, ma apprezzava l’abbondanza a poco prezzo, le offerte speciali, le confezioni famiglia, le rosticcerie che gli evitavano di cucinare, le trattorie dove le porzioni erano abbondanti e il conto leggero. Avrebbe potuto permettersi di tutto, ma Fjodor aveva fatto della parsimonia un valore da perseguire sempre.

Fjodor Lancellotti aprì gli occhi e si accorse con orrore che quel mattino, la sveglia non era suonata. Era quasi mezzogiorno e per lui, anche se era sabato, il tempo era denaro. Aveva del lavoro da sbrigare e sarebbe stato impensabile rimandarlo anche solo di qualche ora. Il suo stomaco esordì invece con un brontolio di protesta. Era stato a digiuno per troppo tempo e reclamava la sua consueta, abbondante, riserva di cibo. 

Non ho tempo di prepararmi la colazione – pensò – farò un salto al bar all’angolo, dove potrei risparmiare tempo pranzando direttamente, data l’ora.

Si vestì in fretta e scese in strada, ma al posto del solito bar trovò un locale che non aveva mai visto prima. E questo, quando lo hanno aperto? Avrebbe giurato che il giorno prima quel locale dagli arredi rossi e neri e dall’aria vagamente gotica non c’era. Oppure sì. Forse era un po’ che non passava di lì, con tutti gli impegni che aveva avuto negli ultimi tempi. Ma che importava? Non aveva tempo, aveva fame e quel ristorante era a portata di mano. Decise di entrare. Gli venne incontro un cameriere elegante, vestito con gli stessi colori dell’arredo. Era alto e magro, con i capelli scuri e la carnagione olivastra. Aveva il naso aquilino e due baffi sottili. 

“Buongiorno, lasci che le spieghi come funziona il nostro locale” – esordì il singolare personaggio.

Fjodor venne fatto accomodare a un tavolo appartato da un secondo uomo, molto somigliante al primo. Probabilmente, i due erano fratelli. 

“Questo è un locale All you can eat” – spiegò il primo cameriere. – “Significa che a un prezzo fisso può mangiare tutto quello che vuole”.

“Perfetto!” – disse Fjodor, che sentiva sempre più prepotenti i brontolii emessi dal suo stomaco.

“Più è robusto l’appetito, più il pranzo sarà conveniente” – continuò il cameriere.

“E quanto sarebbe il prezzo fisso?” – si informò preventivamente Fjodor. 

“10 euro, davvero conveniente, non trova?”.

“E con 10 euro posso mangiare davvero tutto quello che voglio?”.

“Fino a scoppiare!” – sorrise l’uomo.

“Allora, posso cominciare”. 

“C’è solo una piccola clausola – continuò il cameriere – Non può lasciare nulla nel piatto, o dovrà pagarlo a parte”.

“Certo, il cibo non va sprecato. E, per curiosità, nel caso dovessi lasciare qualcosa, quanto mi costerebbe?”.

“Abbiamo stabilito che per ogni rimasuglio di pietanza verrà addebitato un costo di 100 euro”.

“Ma è…spropositato!”.

“Certo che lo è. Ma così siamo sicuri che i nostri clienti, di fronte alla penalità, regoleranno il loro appetito. Sa come si dice, per certe persone: “Tengono più gli occhi della pancia”.

Fjodor fece un sorriso. In fondo quella era sempre stata anche la sua filosofia di vita: premiare la parsimonia e punire gli sprechi. “Sta bene. Ha un menù?”.

“Nessun menù, le porteremo i piatti della casa”.

Fjodor Lancellotti guardava stupefatto la sfilata di piatti deposti sul suo tavolo. C’era ogni ben di Dio: tris multipli di primi piatti, grigliate di carne e di pesce, contorni, vellutate di verdura, bolliti e salse di ogni tipo. Si gettò con voracità su quell’abbondanza. In pochi minuti, famelico, divorò tutto.

Tutto questo per soli 10 euro – pensò, incredulo per tutto quello che aveva appena ingurgitato – di sicuro tornerò in questo locale.

Il suo stomaco, abituato alle grandi quantità di cibo, si era appena un po’ acquietato. Tuttavia, poco dopo, il cameriere tornò con un carrello colmo di un’altra serie di piatti, con porzioni ancora più abbondanti delle precedenti. Pietanze sempre diverse a gustose. Fjodor mangiò con gusto, anche se con meno avidità di prima. Quando ebbe inghiottito l’ultimo boccone, si sentì sazio. Non appena appoggiò le posate nel piatto, il cameriere con la divisa rosso-nera fece un cenno al collega, che ricomparve poco dopo con un altro carrello pieno di pietanze abbondanti e succulente.

“No, grazie, per me basta così. Ho mangiato abbastanza”.

Il viso dell’uomo si fece cupo. “Ormai abbiamo preparato, se non li gradisce dobbiamo considerare questi piatti come rifiuto e addebitarle il costo – L’uomo fece scorrere lo sguardo sul carrello – Sono otto portate intere, quindi direi che il conto sarebbe di mille euro”.

“Ma lei è pazzo! – urlò Fjodor Lancellotti – Dia qua, li mangerò comunque”.

“Perfetto” – disse il cameriere, cominciando a spostare le pietanze dal carrello al tavolo di Fjodor.

Ogni boccone era più lento, meno gustoso, quasi nauseante. Ci mise tantissimo tempo ma, alla fine, mangiò tutto, fino all’ultima forchettata.

“Ecco, ho finito” – disse Fjodor al cameriere mentre un senso di nausea lo stata assalendo. Mise mano al portafoglio ed estrasse con malagrazia una banconota da dieci euro. La gettò sul tavolo. “Ecco il saldo del conto. Così posso finalmente andarmene di qui”.

“Ma non può – gli rispose il cameriere – Abbiamo preparato il carrello dei dolci, il nostro menù comprende anche quelli. Ma se non li gradisce, può lasciarli e li aggiungeremo al conto finale”.

Fece un cenno al collega, che portò un carrello pieno di leccornie di ogni tipo: bignè, torte secche, pan di Spagna traboccanti di panna montata, pasticcini, dolci al cucchiaio.

“Se lascia tutto questo, direi che sono circa 800 euro, più i dieci del prezzo fisso”.

“Ma che diavolo di posto è questo? – si spazientì Fjodor – Nessuno mangia queste quantità di cibo! È una truffa. Ora esco di qui e chiamo la polizia”.

Fjodor cercò il cellulare dalla tasca della giacca, ma il telefono era sparito. Accidenti…nella fretta devo averlo lasciato a casa. Mancava anche il portafoglio con dentro la carta di credito.

“Se sta cercando la sua carta, l’abbiamo trattenuta noi, per precauzione. Nel caso non volesse pagare il conto. Ci sono tanti furbi al giorno d’oggi”.

Fjodor era furente. Sopraggiunse l’orgoglio. Avrebbe mangiato tutti quei dolci per non dare a quei due la soddisfazione di rapinarlo.

“Portate tutto qui, non ho intenzione di lasciarvi un solo euro in più del prezzo fisso”.

“Benissimo. Prego. Le porto un cucchiaio più grande”.

Fjodor chiuse gli occhi e cominciò a ingurgitare con frenesia tutto quello che aveva davanti, sperando che quel supplizio finisse in fretta. Ogni boccone gli risaliva prepotentemente dallo stomaco lungo la trachea, bruciandogli le mucose. Ricacciò i primi rigurgiti e andò avanti, fino all’ultimo dolce.

Quando il cameriere si appalesò, gli puntò in faccia uno sguardo di sfida. “Non credevi che ce l’avrei fatta, vero?”

“Vedo che ha gradito! Ora possiamo passare alla frutta”.

Alle sue spalle comparve un altro carrello con una scultura di frutti di ogni tipo, frullati e macedonie in quantità tale da sfamare gli invitati a uno sposalizio.

“Mi aveva detto che i dolci erano l’ultima delle portate…mi state prendendo in giro per estorcermi denaro. Ma non la passerete liscia. Appena sarò uscito di qui andrò dritto al commissariato.

Sul volto dell’uomo si dipinse un sorriso sardonico. “Allora, se non vuole la frutta, considerato anche il tempo impiegato per la composizione, per sbucciarla e scolpirla a regola d’arte, possiamo farle uno sconto e sarebbero 1510 euro in tutto!”.

“Sa che le dico? Che mangerò anche tutta la vostra dannata frutta. Andate all’inferno voi e la vostra filosofia aziendale”.

Fjodor aveva le lacrime agli occhi. Ogni boccone era divenuta una tortura e cominciava a sentirsi male. Non aveva mai mangiato così tanto in vita sua. Nonostante questo, il pensiero di pagare quel cibo a peso d’oro e dare soddisfazione a quei truffatori lo faceva andare avanti. Tra un rigurgito e un conato, arrivò all’ultimo piatto, ma il suo corpo protestò nell’unica maniera possibile per impedire all’orgoglio dell’uomo di andare avanti: stramazzando al suolo. Si ritrovò disteso sul pavimento, privo di sensi. Si riebbe poco dopo, ma attese qualche minuto, simulando di essere ancora svenuto, per evitare che i due camerieri lo rimettessero a sedere e gli portassero altro cibo. 

I due uomini gli si avvicinarono, ma nessuno di loro aveva intenzione di chiamare i soccorsi. Fjodor socchiuse gli occhi appena per seguire i loro movimenti e tese le orecchie. Dietro alle loro spalle, con raccapriccio, scorse un carrello pieno di amari, liquori e caffè. Trattenne un conato per non svelare la sua condizione vigile. 

“Allora, Astaroth, chi ha vinto la scommessa?”.

“Io, naturalmente, Abaddon, pur di non pagare il conto esorbitante, ha ingurgitato cibo in grado di sfamare almeno venti persone. Quindi direi che l’anima di questo ingordo sia destinata al Girone dei Golosi, che io sovrintendo”.

“Ma cosa stai dicendo? Proprio perché non voleva pagare il conto ha mangiato fino a stare male! Se non è avarizia questa! Quindi, la sua anima è mia e la porterò nel Girone degli Avari!”.

“Eh, no, caro mio! L’anima di Fjodor Lancellotti è mia e sarà aggiunta ai Golosi!”.

“E invece la prova a cui è stato sottoposto ha dimostrato che questo tizio è più avaro che ingordo! La sua anima è mia, ti dico!”.

I due cominciarono a lanciarsi insulti, poi vennero alle mani. Si accapigliavano così forte che, a un tratto, in quel finto dormiveglia, Fjodor vide distintamente spuntare una coda dai pantaloni di uno dei litiganti. Tutto gli fu chiaro. Ripercorse in un attimo tutta la sua vita. Un’esistenza arida, priva di affetti e di amicizie, che egli tentava di compensare con il cibo, una vita priva della gioia di donare piccoli piaceri sia a sé stesso sia a coloro che avevano avuto la sfortuna di avere a che fare con lui. A partire dai suoi dipendenti, a cui non aveva mai elargito una gratifica, concesso ferie in più, o semplicemente rivolto un complimento, un elogio o un sorriso. Come per i due diavoli che si contendevano la sua anima a suon di insulti e ceffoni, anche per Fjodor fu difficile stabilire se, nella sua vita, fosse stato più ingordo di cibo o avaro di soldi e sentimenti. 

Si spaventò a tal punto che, d’un tratto, decise di cambiare vita. Avrebbe pagato ai diavoli la cifra di tutto il cibo che non era riuscito a mangiare, pur di scappare da quel ristorante infernale. Sarebbe uscito di lì in fretta, avrebbe risarcito dipendenti e famigliari di tutto quello che non aveva donato loro in tanti anni di vita e soprattutto… si sarebbe messo a dieta. 

  Manuela Fiorini

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