IL MONDO DI BYRON di Ilaria Braida

Osservando il periodo di pandemia con gli occhi di qualcuno che è sempre accanto a noi, ecco il racconto della socia Ilaria Braida. Buona lettura!

Sono sdraiato pigramente sulla poltrona del salotto di casa. Osservo il mondo da un punto di vista rilassato e soprattutto privilegiato: pappa sicura, coccole a profusione e la possibilità di oziare a mio piacimento. Mi chiamo Byron

Un nome insolito per un gatto. Sì, sono proprio un gatto. Non ho idea del perché mi abbiano dato questo nome così blasonato, però credo che si adatti bene al mio tipo felino: sono alto al garrese, elegante nei movimenti e sono tigrato. Lo ammetto, sono proprio un bel gatto. Abito assieme alla padrona di casa, ma non sono solo. C’è un altro gatto, anzi a dire il vero è una gatta. La casa è deliziosa, poco distante dal centro della città. Sono alcuni anni che vivo qui. Quando sono arrivato ero un cucciolo. Adesso dovrei avere circa sette anni, contando il tempo come fanno gli umani. Ho quindi una certa esperienza in materia di bipedi. Invece la gatta, che si chiama Giada, è più piccola di me ed è piuttosto insolente. Ha solo un anno. Devo insegnarle sempre tutto.

“Byron, micione mio bello, dove sei?”.

La mia padrona mi chiama spesso in questo periodo, come se non mi vedesse, ma io sono sempre al mio posto. Mi piacciono molto le coccole, ma quando mi chiama in modo così sdolcinato mi sento quasi offeso nella mia dignità felina.

“Ah ma sei qua, cucciolotto mio, hai fame?”.

La mia umana è sempre molto premurosa ma ultimamente è più melensa del solito. Mi cerca in continuazione, molto più di prima. Non mi disturba questa sua nuova modalità, anzi mi fa piacere, però dovrebbe ricordare che sono sempre un lontano cugino di leoni e tigri. Vorrei avesse più rispetto. In questo periodo mi sento più pigro del solito, non ho molte attività da fare a parte qualche schermaglia giocosa con Giada. Guardo la mia padrona di casa spostarsi da una stanza all’altra. La cosa che mi incuriosisce di più è che da un po’ di tempo qualcosa è cambiato. Invece di uscire tutte le mattine, come faceva sempre, ora anche lei rimane a casa, proprio come me. Anche lei come me, è racchiusa dentro queste quattro mura, in una specie di mondo ridotto confinato da pareti. Mentre cammina da un punto all’altro della casa, ora in salotto poi in cucina, la sento parlare sempre. Parla con qualcosa che non è umano come lei, è un oggetto, non so cosa sia, ma deve essere qualcosa che serve per comunicare.

“Ma dove ho messo l’agenda? Forse l’ho lasciata dentro alla valigetta da lavoro. Ma dove è finita? Byron, Byron, dove sei?”.

Mi sa che l’umana di casa sia diventata un po’ strana, ora provo a farle un po’ di coccole, vediamo se si rilassa. Ah gli esseri umani, quanto sono complicati…Tra noi felini non è che sia tutto così semplice e scontato: un timbro di fusa è differente da un altro e significa qualcosa di preciso, ma almeno noi gatti ci guardiamo negli occhi mentre parliamo. La mia padrona di casa, così come ho visto fare anche ad altri umani, a volte guarda dentro una scatoletta che si illumina e spesso ci parla dentro. Gli umani non sono solo complicati, sono anche bizzarri. L’altra novità è che lei, quando siamo a casa assieme, spesso mi saluta, poi si chiude dentro a una stanza.

“Adesso Byron sono impegnata, per qualche ora non cercarmi, fai un pisolino se vuoi”.

Mah, cosa mai farà dentro a quella stanza? Io cerco di entrarci, gratto la porta, ma lei finge di non sentire. Una volta però non ha resistito alle mie litanie gattesche e mi ha aperto: dalla contentezza sono saltato sulla scrivania e sono atterrato sopra una specie di scatola rettangolare che aveva tanti cosini neri tutti più o meni uguali con sopra dei segni bianchi.

“Vattene dal mio computer subito!” – aveva gridato lei, prendendomi e portandomi a terra.

Insomma, quella volta lei non ha apprezzato le mie acrobazie. Si è lamentata molto di qualcosa che era stato cancellato dal mio arrivo inopportuno.

“Ecco, non avevo fatto in tempo a salvare il file e tu così mi hai fatto perdere due ore di lavoro. Uffi, ora dovrò ricominciare da capo!”.

Lavoro? Sì, ha detto proprio lavoro. Così ho capito che non esce più di casa per andare in ufficio, ma ha trasportato l’ufficio dentro a quella stanzetta. Però non mi ha sgridato più di tanto. Mi sono allungato dietro a quello che la mia padrona ha chiamato “computer” e con un po’ di fusa ben assestate lei non ha avuto il coraggio di mandarmi via. Così sono rimasto lì, buono buono, mentre le sue dita si rincorrevano avanti e indietro su quei quadratini con sopra i segni bianchi.

“Questa è la tastiera del mio computer, Byron. Io in questo modo posso scrivere, ma tu puoi restare qui con me, ma non mi disturbare, dai fai il bravo…”.

Resto buono, padroncina, in silenzio, non faccio rumore.

Così mi aveva spiegato cosa solo quegli strani quadratini. Mi sono immobilizzato e l’ho osservata. Almeno abbiamo passato qualche ora insieme.

Eppure lei è sempre più strampalata, ogni giorno più del solito. Anche adesso la sento parlare.

“Si, ho capito. Siamo d’accordo, mi mandi pure una email”.

“Miaooo” – uffa non mi prende in considerazione, adesso riprovo – “MIAOOOO”.

“Ma cosa c’è Byron? Hai fame? Adesso arrivo, porta pazienza, anche se sono a casa, sto lavorando!”.

Finalmente la mia umana si sta accorgendo di me. Lei pensa che io non capisca le cose che mi dice, ma non è esattamente così. Diciamo che faccio finta di non capire, quando mi va. Però non so spiegare cosa stia accadendo. Perché qualcosa di insolito di certo sta accadendo. Ecco, il fatto che ora lei non vada più in ufficio l’ho già detto. Ma c’è un’altra cosa. Anche quando andiamo a stenderci al sole in balcone, verso le due del pomeriggio, lei resta seduta con un libro sulle ginocchia, io ai suoi piedi. Me ne resto buono per non disturbarla mentre legge, ma tutto attorno a me è silenzioso in modo insolito. La strada che passa sotto casa nostra è quasi vuota, con pochissime auto che girano e nessuna bicicletta, qualche passante, qualche signora anziana che scende per buttare la spazzatura, ma nessun bimbo che gioca a pallone, nessun gruppo di amici che si incontrano in motorino, nessuna coppia. Silenzio.

Ho scambiato qualche idea in proposito con Giada, l’altro gatto di casa. Ho scoperto che anche lei è stupita. Sì, c’è qualcosa nell’aria. Qualcosa è cambiato. Qualcosa sta succedendo. Giada è una gatta sinuosa dal mantello nero. Lei è una gatta di città, è nata nel centro di Modena. Io invece vengo dalla campagna e mi sono dovuto adeguare allo stile di vita della città. Lei che è nata qui mi ha spiegato che per noi gatti è più sicuro restare in casa. La città è un luogo pieno di pericoli.

Ma ci sono pericoli anche per la nostra padrona di casa?

Temo di sì, altrimenti perché starebbe sempre qui, in quella che lei chiama la sua tana?

“Mici venite! C’è la pappa”. Ci sta chiamando.

“Miaooo finalmente!” Chissà se ha imparato a capire i miei vocalizzi.

“Ecco, bravi, poi più tardi esco a fare la spesa e vi compro quello snack che vi è piaciuto tanto”.

Miaooo, umana, sei proprio una brava padrona di casa, gli snack mi piacciono tanto!

Adesso mi strofino un po’ sulle sue gambe per farle capire che sono contento e che le voglio bene. In fondo credo che ci sia un motivo grave per aver cambiato tutte le sue abitudini. Prima usciva per diverse ragioni: il lavoro, la passeggiata con le amiche, la vacanza. Invece noi gatti restavamo a casa. Sapevamo che lei andava via chiudendo la porta e in fondo eravamo sempre contenti quando sentivano la chiave che annunciava il suo ritorno. Adesso invece è sempre qui con noi.

In questo periodo c’è una parola nuova che ho imparato: pandemia. Una parola che non avevo mai sentito prima. Gli esseri umani con cui la nostra padrona di casa parla la ripetono sempre. Lo sento dire anche dalla scatola luminosa che c’è in salotto. Devo ammettere che non ne conosco il significato. Ma sono quasi certo che è quella la causa del silenzio in strada e del fatto che la mia padrona di casa non esce più.

Ma cosa sarà mai questa pandemia?

Mi accorgo che il tempo che scandisce i giorni sembra aver perduto il solito ritmo frenetico. Ieri lei è uscita.

“Ragatti – già, ci chiama ragatti, una parola che si è inventata lei, mescolando il termine ragazzi con gatti – vado a fare una passeggiata. Mi raccomando, non fate danni eh?”. Così ci ha detto, mentre ha finito di vestirsi, indossando un pezzo di stoffa colorata che le copriva naso e bocca. La guardo bene e mi accorgo sempre più della sua stranezza. Quando esce ultimamente indossa sempre quell’affare davanti alla faccia. Non glielo avevo mai visto addosso fino a poco tempo fa.

Miaooo prrrrrr” – le ho risposto. Credo abbia capito che le ho voluto dire di stare tranquilla, non mi arrampicherò sulle tende, né mi farò le unghie sul divano. Però a guardarla bene, mi accorgo che è buffa davvero. Quando è rientrata ha cominciato a raccontarci che era stata in centro e dato che sono curioso l’ho ascoltata con attenzione. Giada invece non è sembrata per nulla interessata. Lei è sempre appollaiata sul cesto più alto del tiragraffi e da lì guarda fuori dalla finestra, tutto il giorno. Non le interessa quello che fa la nostra padrona di casa.

“Byron lo sai che ho raggiunto Piazza Grande e ho visto che è nata l’erba tra i sassi che pavimentano la piazza? Incredibile! Sembra un prato” – ha detto la mia umana, con aria stupita. Era così emozionata, che i capelli della sua frangetta si erano come rizzati alti sulla fronte.

“Prrrrrrrr” – le ho risposto.

Interessante. Un prato. Che sia erba gatta?

Modena, 18 marzo 2021

©2021copyrightIlariaBraida

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