La società si evolve e il linguaggio si stravolge. In quest’epoca di valori depauperati, anche la lingua italiana sta perdendo spessore e riduce l’uso di vocaboli dotti, quasi dimentica la varietà di sinonimi e termini, per abbracciare la banalità di frasi tutte uguali con parole sempre più comuni e consolidate. Per questo emoziona ritrovare uno scritto, dove emerge l’amore per la lingua e il rispetto per termini adeguatamente utilizzati, che rendono con efficacia stati d’animo ed emozioni e te li fanno rivivere, in modo incisivo e frizzante, senza mai scadere nella banalità. Sembra scontato, ma quando si parla si può anche tollerare l’appiattimento di frasi del discorso, ma quando si legge e si scrive, a mio avviso, la bellezza e la varietà della lingua italiana sono ancora valori da tutelare. Per cui mi piace il modo di scrivere di Luca Rachetta, dotto, ma allo stesso tempo semplice e arguto. Mi piace molto l’ironia con cui vengono affrontati stati d’animo di una fetta sociale, sempre più disillusa e quasi chiusa dentro a ideali che non realizzerà mai. L’ironia aiuta ad accettare anche la descrizione di situazioni, nelle quali leggo lacrime e rancore. E l’ironia aiuta anche a prendersi un po’ in giro e questa, per me, è la chiave per affrontare gli inciampi inevitabili e imprevedibili di questo nostro percorso chiamato vita. Nel romanzo “La setta dei giovani vecchi” di Luca Rachetta (Edizioni Creativa 2011, euro 11,00) si narra la storia di un gruppo di amici coetanei che non riesce a “sfondare” nella società dominata da attempati personaggi, tanto conservatori quanto detentori delle redini di giochi antichi e sempre uguali. Come percepire la “missione” di questo gruppo di amici che sembra quasi cospirare contro il comune sentire? In realtà ogni setta, come ci insegna la Storia, si mette in una sorta di contrapposizione con quello che è il modo di pensare e di agire dei più, in un certo contesto storico e sociale. Gli amici della setta vorrebbero “ribellarsi” e dichiarare un modo di agire “differente” da ciò che avviene concretamente. Una missione impossibile? Lo è quasi sempre, quando cerchi di discostarti dal modus operandi dei più. Eppure la setta, il gruppo, dona conforto, protegge e crea, nella condivisione della “mission”, una sorta di barriera che dovrebbe conferire forza e ispirazione per continuare. La società invecchia, i giochi di potere sono in mano ad antiche “cariatidi” riciclate e sempre rimescolate tra di loro, ad ogni livello, in ogni anfratto della vita e della Storia. Le mummie viventi creano ostacolo al ricambio. Questi giovani baldanzosi stanno invecchiando dentro ai loro ideali che non possono e non riescono a fare emergere. Quattro amici, con le loro storie, bizzarre, ma omogenee. Sono Luca, Francesco, Leonardo, una triade di cospiratori che ruota attorno al protagonista, Giovanni, forse il più idealista di tutti, forse il più debole. Ma ecco l’ultima cospirazione della triade contro un mondo che ha alzato il muro e non consente brecce di novità. Un’uscita di scena di grande effetto, ma quasi celata dal buio della rabbia materializzata e nera come la notte. Un piccolo gruppo che rinuncia, in un certo senso, a giocare, che vuole in questo modo vincere l’ipocrisia e la staticità, uscendo dagli impegni e facendo calare il sipario su uno spettacolo replicato in maniera sempre uguale. Ma è vera vittoria questa rinuncia al gioco? Ma è vera gloria l’abbandonare il campo di battaglia? E’ così impossibile indossare una nuova più potente armatura e scagliarsi, decisi, verso il nemico, ancora una volta? Il libro fa pensare. Non già alla rassegnazione, ma alla voglia di reagire. Perché questi giovani non possono diventare vecchi così, senza avere esperimentato da protagonisti la vita! La battaglia può essere persa, ma la guerra è ancora aperta. Lo sguardo del quarantenne Giovanni sulla vecchiaia, potrebbe anche mutare se la rassegnazione lasciasse spazio alla speranza. E le donne? In questo romanzo sono un po’ in disparte, dietro le quinte, quasi dipinte in controluce. C’è la storica fidanzata (quarantenne) che forse si è stancata di aspettare di convogliare a giuste nozze e in un certo senso cerca una sua forma di reazione alla noia di un “tran tran” di inutile attesa. C’è una nonna che sentenzia anatemi al nipote, accusandolo di non onorare i sacri precetti della religione. C’è la moglie del geometra assatanato dalla mania di perfezionismo, che soccombe alla follia di vivere secondo una utopistica perfezione numerica. C’è la madre piagnucolosa e soffocante del protagonista che aggrava, con la sua apprensione, i già datati danni causati al figlio per una mancata (reciproca) educazione ai sentimenti. E poi ci sono altre donne, che non emergono, ma sono là, sullo sfondo delle rispettive storie dei protagonisti, maschi. Da quanto ho percepito leggendo il romanzo, i giovani vecchi della setta non hanno un buon rapporto con il sesso femminile, forse hanno anche paura dell’amore, o forse sono talmente presi da se stessi e dall’idea di raggiungere quello che non riescono, che faticano ad abbandonarsi alla follia di un sentimento che forse potrebbe anche condurre su un sentiero davvero alternativo. Forse basterebbe anche solo voltarsi indietro e ripensare alla propria vita, abbandonare le rigidità e perdonare e perdonarsi un po’. Forse bisognerebbe abiurare all’idea di perfezione assoluta (il posto fisso, la carriera politica, la stabilità economica…i soliti canoni di un sentire comune) prima di procedere. Basterebbe un passo indietro, prima di proseguire nell’accanita voglia di raggiungere quello che non si riesce. E forse questa potrebbe essere una mossa alternativa e vincente.

Daniela Ori

 

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